L'importanza della consulenza ESG
L'importanza della consulenza ESG
«Consulenza Esg? Una leva strategica imprescindibile»
Il Partner stima una crescita del 40% annuo della consulenza Esg, anche grazie alla spinta normativa e prevede una crescita esponenziale del trend soprattutto dal 2025. Le imprese italiane sono tra le più sostenibili al mondo, ma serve più collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore.
L’Italia ha una leadership reale nella sostenibilità e le piccole e medie imprese rappresentano il bacino che svilupperà più cantieri e strategie Esg nei prossimi anni. Ne è convinto Carlo Luison, Partner e Sustainable Innovation Leader di Bdo in Italia, tra le principali organizzazioni internazionali di servizi alle imprese, protagonista in questa quinta intervista della nuova serie che ETicaNews dedica alla consulenza Esg. Il consulente stima una crescita costante del 40% annuo dei servizi professionali legati alla sostenibilità nell’ultimo triennio: «Cinque anni fa la sostenibilità era ancora percepita nella nostra società come un “nice to have” per clienti che se lo potevano permettere, oggi è vissuta come una leva strategica imprescindibile, con una presenza continuativa e costante nell’offerta professionale per tutti i servizi erogati». Il professionista racconta che «uno dei principali servizi richiesti resta la rendicontazione». Per Luison, una delle sfide maggiori «è far dialogare e collaborare aziende di impostazione diversa: quelle che erogano servizi di pubblica utilità, quelle for profit e le nonprofit». Per quanto riguarda il greenwashing, il partner di Bdo spiega che «è in assoluto uno dei rischi che presidiamo di più» e sottolinea che «il più delle volte è dovuto a una situazione di non completa o corretta conoscenza della materia».
Qual è il trend della consulenza Esg, nel 2022 e quest’anno?
In base a recenti analisi di mercato effettuate a livello europeo e soprattutto in base all’effettiva crescita da noi realizzata, abbiamo stimato un trend di sviluppo dai servizi professionali legati alla sostenibilità che ha registrato, nell’ultimo triennio, una crescita costante del 40% annuo. Il trend positivo diventa ancora più significativo guardando in prospettiva: nel triennio 2023- 2026 è prevista una crescita della domanda di servizi professionali legati ai fattori Esg anche superiore al triennio precedente. Una crescita molto sostenuta che, mantenuta nel tempo e considerando gli effetti complessivi, determinerà un aumento esponenziale delle attività professionali Esg; soprattutto verso il 2025, quando scatterà l’obbligo di rendicontazione secondo la Corporate Sustainability Reporting Directive.
Quanto rappresentava nel 2021 la consulenza Esg in termini di quota di business per la società? Quanto rappresenta oggi? E quanto rappresenterà in prospettiva?
L’attività di consulenza Esg è principalmente svolta dal team Bdo Sustainable Innovation, ma con elevata integrazione e interazione con tutte le “stream” (famiglie professionali) di Bdo in Italia, perciò è difficile rispondere a questa domanda. In Bdo la sostenibilità è veramente diffusa, consapevole e presente capillarmente in tutti i mestieri. Se cinque anni fa la sostenibilità era ancora percepita nella nostra società come un “nice to have” per clienti che se lo potevano permettere, oggi è vissuta come una leva strategica imprescindibile, con una presenza continuativa e costante nell’offerta professionale per tutti i servizi erogati.
Quali sono i servizi più richiesti? E quali pensa che saranno in futuro?
Stiamo vivendo il periodo “normativo” della sostenibilità e, di conseguenza, negli ultimi anni il settore della consulenza Esg si è sviluppato sui servizi volti a rispondere alla crescente pressione legislativa in ambito di sostenibilità, con particolare riferimento alla Tassonomia Ue e alla Sustainable Finance Disclosure Regulation per gli operatori dei mercati finanziari. Tuttavia, uno dei principali servizi richiesti resta la rendicontazione. Una volta realizzato un buon processo di rendicontazione, le imprese intraprendono più sicure il viaggio della sostenibilità, attraverso la definizione di vere e proprie strategie Esg, che spesso trovano formulazione in “Piani Esg”, “Road Map” per la decarbonizzazione, piani di compliance Esg o di approvvigionamento sostenibile. In particolare, negli ultimi mesi, il settore finanziario si è concentrato sulla risposta alle aspettative sui rischi climatici e ambientali di Banca d’Italia, e sulla gestione e mitigazione dei principali effetti negativi sulle scelte di investimento. In riferimento al settore non finanziario, invece, molte organizzazioni stanno muovendo i primi passi per l’aggiornamento degli standard di rendicontazione, soprattutto in ottica di doppia materialità richiesta dalla Corporate Sustainability Reporting Directive, ma anche cercando soluzioni tecnologiche in grado di supportare la transizione.
Qual è il mercato con maggiori potenzialità?
Lavoriamo moltissimo con le piccole e medie imprese e tutte le altre aziende del cosiddetto “middle market”. Questa categoria rappresenta il bacino che svilupperà più cantieri e strategie di sostenibilità nei prossimi tre anni. Lo “tsunami” normativo si abbatterà su di loro entro il 2025, ma le Pmi più lungimiranti si muoveranno già nei prossimi mesi, mentre quelle leader di settore si sono già mosse, chiedendo supporto per tempo e aprendo cantieri Esg molto concreti per approfittare del vantaggio competitivo del Made in Italy. La buona notizia è che l’Italia ha una leadership reale nella sostenibilità. Nonostante le carenze del nostro sistema Paese, abbiamo nel dna imprenditoriale di lungo termine e nella cultura della circular economy dei punti di forza che, assieme alla stringente normativa cui sono sottoposte, rendono le imprese italiane tra le più sostenibili al mondo. A questi punti di forza si aggiungono gli investimenti del Pnrr e la finanza agevolata, che stanno indicando nella sostenibilità i requisiti necessari per ottenere gli investimenti. Nei prossimi anni anche la Pubblica Amministrazione e il Terzo Settore contribuiranno in modo significativo alla carbon neutrality del Green Deal.
Quali sono le sfide maggiori?
Una delle sfide che vedo è nella capacità di far dialogare e collaborare aziende di impostazione diversa: quelle che erogano servizi di pubblica utilità, quelle for profit e le nonprofit sono troppo spesso tenute separate da logiche anacronistiche di appartenenza e posizioni corporative che oggi vanno riviste e modellate secondo i criteri della circolarità. Siamo tutti parte di un nuovo meccanismo capitalistico che è in transizione e deve evolvere verso forme di maggiore cooperazione e di partnership, abbandonando quelle di competizione e prevaricazione. A mio avviso, serve una nuova alleanza generativa tra pubblico, privato e terzo settore che sappia sfruttare le grandi potenzialità del nostro Paese e collaborare alla soluzione dei difficili problemi della filiera del valore. Si aggiungono poi le sfide legate ai problemi ambientali, per finalizzare al più presto i meccanismi di limitazione delle emissioni a livello globale, e quelle sociali. Le imprese non possono, da sole, risolvere i problemi del mondo; ma possono, assieme ad altri attori, proporre soluzioni di transizione attraverso lo strumento che più è loro congeniale: l’innovazione.
Come affrontate la problematica della scarsità di professionisti?
Formazione ed educazione: noi di Bdo Sustainable Innovation dedichiamo moltissime ore all’anno alla formazione, all’educazione, all’orientamento professionale, alla ricerca, alla collaborazione con università ed enti formativi, con lo scopo di “evangelizzare” e diffondere la passione per questo lavoro e soprattutto di preparare professionisti curiosi e motivati per aiutare la transizione Esg. Nello specifico: supportiamo master avanzati come quello con Ipsoa-Wolters Kluwer; collaboriamo con università come il Sustainability Lab dell’Università Cà Foscari; formiamo costantemente i nostri colleghi e quelli delle altre stream Bdo; partecipiamo a lezioni, progetti di ricerca ed eventi formativi ed educativi in tutta Italia e all’estero. Occorre studiare tanto e non smettere mai di essere curiosi e di apprendere. Attraverso l’autorevolezza della conoscenza e lo sviluppo di strumenti adeguati possiamo attrarre professionisti che condividono lo stesso “purpose”.
Percepite e come gestite eventuali progetti/richieste dai clienti che rischiano di essere greenwashing?
Il greenwashing è in assoluto uno dei rischi che presidiamo di più e che, ogni giorno, guida il nostro “scetticismo professionale”: come cultori della materia siamo tenuti a prestare massima attenzione alla corretta identificazione della situazione in cui si trovano le organizzazioni con cui operiamo al fine di renderle consapevoli dei loro punti di forza, ma anche dei loro punti di debolezza. Il greenwashing esiste anche perché i temi Esg sono molto complessi e trasversali: il più delle volte è dovuto a una situazione di non completa o corretta conoscenza della materia. Quando troviamo situazioni a rischio interveniamo per risolvere le criticità o i problemi Esg. A questo si aggiunge l’attività dei professionisti Bdo dedicata all’audit e all’assurance Esg. Le attività di controllo su dati e informazioni delle organizzazioni assicurano la loro maggiore qualità e attendibilità e il raggiungimento di una granularità che combatte il rischio di greenwashing, grazie anche alla raccolta di informazioni sempre più puntuali e al loro continuo aggiornamento.
Come vedete il rischio di un greenwashing nella consulenza?
Cioè, di servizi a buon mercato, ma senza solide basi di conoscenza? Opero da oltre 25 anni in questo complesso settore: ho visto gli approcci più disparati e creativi alla sostenibilità e ritengo che continuerò a vederne ancora tanti. È ovvio che oggi risulti molto elevato il rischio di “greenwashing nella consulenza”, perché numerosissimi professionisti si dichiarano e si presentano come esperti dopo una sola esperienza Esg tra le referenze. Fortunatamente, a porre un freno a questa proliferazione di esperti sarà proprio la legge e una maturanda capacità delle imprese. Nonostante l’attuale ipertrofia normativa, il legislatore europeo sta ponendo le basi per una definizione avanzata della professione. Avrei preferito un intervento più coerente, progressivo e ordinato, ma quando un mercato o una professione diventano accelerati servono leggi per regolamentarli. E poiché i legislatori non saranno indifferenti alle richieste di determinate lobby, non bisogna abbassare la guardia.
Pubblicata su ETicaNews, 05/05/2023